L’opera, con la traduzione di Roberto Vecchioni e la regia di Leo Muscato, è incastonata tra tradizione e modernità. Una storia per tutti, scorrevole e coinvolgente
Il vagone che deporta il ribelle entra cigolando su un binario abbandonato, poi si ferma in un cimitero industriale, tutto ruggine e macchie di petrolio, dimenticato dagli uomini e consumato dal tempo. Il prigioniero Prometeo è incappucciato e non può ancora vedere il muro di spettatori del Teatro Greco. Sulle gradinate cala un silenzio irreale e, mentre si consuma il primo dialogo, il protagonista viene incatenato in cima a una torre di ferro. È con una spruzzata di novità, ma rispettando l’opera originale di Eschilo che Leo Muscato, alla prima regia a Siracusa, ha sapientemente inserito il suo “Prometeo Incatenato” tra tradizione e modernità.
Uno spettacolo in armonia con la traduzione di Roberto Vecchioni (presente alla prima, giovedì 11 maggio), che ha reso il testo semplice, scorrevole e coinvolgente, per un’ora e mezza circa di conversazioni serrate tra i diversi protagonisti, senza neanche un cambio di scena. Una staticità quasi ammaliante ed estremamente efficace. Tutta la vicenda, infatti, ha preso vita intorno a una sola struttura sotto la quale, oltre al coro, si sono avvicendati gli interpreti di Oceano (Alfonso Veneroso), della vacca Io (Deniz Ozdogan) e del messaggero degli dèi, Ermes (Pasquale di Filippo). Tra gli attori, menzione d’onore per Alessandro Albertin nel ruolo di Prometeo: debuttante a Siracusa, il protagonista ha bene incarnato le sofferenze del titano, senza mai esagerare i toni. A completare il cast Silvia Valenti (Bia), Davide Paganini (Kratos) e Michele Cipriani (Efesto); Elena Polic Greco, invece, la responsabile del coro.
La tragedia, una storia di patimenti, tentativi di convinzione e premonizioni, in scena nella cornice del più antico teatro all’aperto italiano, ha raccolto la standing-ovation del pubblico, che ha applaudito per diversi minuti. “Il Prometeo incatenato è un’opera che parla agli spettatori di ogni epoca perché il protagonista incarna l’archetipo dell’eroe che si schiera contro i più forti per difendere i più deboli – le parole del regista Leo Muscato –. È un padre disposto a qualunque cosa pur di proteggere un figlio particolarmente fragile. Quando ho iniziato a studiare questo testo per immaginarne una messa in scena, mi è stato subito chiaro che avremmo dovuto incatenare Prometeo in un luogo metaforico a una rupe simbolica. Spingendo il pedale dell’acceleratore sul tema centrale del progresso umano, ho cominciato a immaginare questo luogo come un’area industriale dismessa da così tanto tempo, da essere ormai stata integrata dall’ambiente circostante. Tutto è arido, arrugginito e ogni cosa trasuda abbandono”. E, in effetti, la scelta ha pagato alti dividendi, perché gli spettatori hanno molto apprezzato l’opera.
La trama – Il dio del fuoco, Efesto, inchioda a una roccia della Scizia Prometeo, reo di aver donato il fuoco agli uomini, sotto gli occhi attenti di Bia e Kratos. All’udire i colpi di martello, accorre sul luogo un gruppo di Oceanine (il coro), a cui Prometeo racconta di aver aiutato prima Zeus contro i titani ribelli (di cui faceva parte), poi di essere passato dalla parte degli umani. Oceano, amico e parente di Prometeo prova a indurlo a piegarsi al volere di Zeus, ma senza successo. Giunge, poi, sul luogo anche la vacca Io – vittima del dio del tuono e di Era – a cui il titano predice il futuro e la detronizzazione di Zeus. Infine, Ermes cerca di conoscere invano il destino del padre degli dèi e Prometeo sprofonda nelle viscere della terra.
“Prometeo Incatenato”, parte del programma del 58esimo ciclo di rappresentazioni classiche dell’INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico) insieme a “Medea” di Euripide, “La pace” di Aristofane e “Ulisse, l’ultima Odissea”, da un libretto di Francesco Morosi con la regia di Giuliano Peparini, sarà in scena per altre nove repliche fino al 4 giugno.
Foto in copertina: Ansa