Era questione di tempo, crescita, maturità. Oggi brilla, luminosa, anche la stella di Jannik, campione nello sport e nella vita
Steso a terra, occhi chiusi, racchetta alla mano. Esausto, con il sorriso di chi, a ventidue anni, è già storia del tennis italiano. In un’istantanea, iconica, il primo trionfo di Jannik Sinner in un torneo del grande Slam. Dove, nel singolare maschile, un italiano non arrivava da quando Adriano Panatta veniva incoronato re di Parigi, quasi 48 anni fa.
Era questione di tempo, crescita, maturità. Bastava saper aspettare: senza fretta, con impegno, sacrificio, dedizione. D’altronde, di talento Jan ne ha davvero a palate. E a Melbourne ne ha dato conferma anche ai più scettici. Perché ha vinto l’Australian Open, e per di più alla prima finale Slam disputata in carriera. Ma soprattutto perché ha dimostrato che, per essere campioni, la tecnica non basta. Servono testa, cuore, sangue freddo.
Cosa avrà pensato Sinner, sotto due set a zero e spalle al muro, forse non lo sapremo mai. Ma, nel momento di massima difficoltà, nei suoi occhi è cambiata la luce: più accesa, intensa, abbagliante. E lì è cominciata la rimonta. Servizi vincenti, scambi lunghi controllati alla perfezione, variazioni, dritto e rovescio martellanti. Glaciale, concentrato, quasi stoico, sollevando il suo famoso pugnetto (che poco appare e tanto gasa) Jannik ha recuperato, punto dopo punto. Un sospiro di sollievo, con l’Italia intera che a quel “sono morto”, letto chiaramente nel suo labiale, aveva tremato.
Eppure, il ragazzo di San Candido ha di nuovo tirato fuori il coniglio dal cilindro. La sua finale ha fermato l’Italia, come è successo solo con Rossi, Tomba, Jacobs e pochi altri eletti. E come solo la nazionale di calcio è capace di fare, in un Paese in cui il pallone è una religione. Oggi, invece, brilla luminosa anche la stella di Jannik. Ed è grazie a lui se, domani, un bambino in più deciderà di prendere in mano una racchetta e provare ad imitarlo. Grande perché umile, tenace, con i piedi ben saldi a terra.
Ancora una volta, in un unico abbraccio tricolore, Sinner è stato l’Italia e l’Italia Sinner. Perché nessuno voleva perdere l’appuntamento con la storia. Ma soprattutto perché il ragazzo dalla chioma arancione sembra piacere proprio a tutti, in campo e fuori. Mai arrogante, sempre rispettoso, educato, riconoscente. Finito il torneo, coppa tra le mani da pochi secondi, il suo primo pensiero è stato ringraziare avversario, organizzazione e pubblico. E poi i suoi genitori per avergli lasciato la libertà di scegliere chi voler essere, rimanendo sempre al suo fianco.
Una grande lezione di tennis e di vita e un’occasione per dimostrare che c’è sempre un modo per rialzarsi, sbocciare, rinascere. Basta volerlo davvero. Teniamoci stretto Jannik Sinner. Perché di campioni così, talento cristallino e testa sulle spalle, ne passa uno ogni mille anni.
Foto in copertina e nell’articolo: @australianopen