Uno scontro che affonda le proprie radici in una tradizione dal sapore inconfondibile. Bianco o nero, V o Effe. Non esistono grigi, né compromessi. Bologna ha subito, avvolta dalla carezza di padre Crono, il fascino e la bellezza della pallacanestro, restandone ammaliata. Un parquet, due squadre e una palla a spicchi, la magia di un tempio come il PalaDozza, nel quale si costruiscono e infrangono sogni, e l’atmosfera surreale degli spalti. La stracittadina più incantevole del basket italiano è passione, amore, emozione e tifo, un copione riscritto ogni anno e recitato da interpreti e artisti sempre diversi. All’ombra delle due torri, la rivalità tra il bianco-nero e il bianco-blu è molto più di una consuetudine. È una battaglia tra amici, parenti, conoscenti e sconosciuti, è parte del folklore e dell’anima della città, avvolta dalla melodia inconfondibile del Gioco. Sono trascorsi cinquantasei anni dal primo derby.
Devozione, eccitazione, vigore e partecipazione sono scolpiti, forse oggi ancor di più di ieri, sotto i portici di una città che respira pallacanestro e si nutre del suono affascinante della retina che si gonfia dopo un palleggio, arresto e tiro. Il derby, si sa, fa storia a sé: individualità, pronostici e valori sulla carta si annullano, soccombendo alla sinfonia della cooperazione e all’essere squadra, nel senso più puro del termine. Il giorno del giudizio è alle porte. Virtus e Fortitudo di fronte al tribunale popolare di Basket city. Per la centododicesima volta nella storia.