La faccia cattiva, il volto corrugato, lo sguardo intenso. Segni indelebili della consapevolezza di chi risorge dalle proprie ceneri e che coincidono con l’istinto di sopravvivenza della NBA. Rincorrendo una conclamata ascesa del proprio talento, la stagione trascorsa è stata per Tyler Herro un’altalena di prestazioni brillanti e opache, lampi di talento e banalità, esempi paradigmatici di una giovane arroganza. Il prodotto di Kentucky è vissuto nell’ombra del proprio alter-ego che, entrato nella lega lontano dall’asfissiante attenzione mediatica per Zion Williamson, ha incantato l’American Airlines Arena con sicurezza, spavalderia, agonismo e genuina competitività. Tamponato dalla propria immagine ha deluso le aspettative, pur mantenendo costante la media punti e ritoccando le altre statistiche.
Sebbene i numeri, talvolta, abbiano il potere di nascondere la mancanza di spirito di sacrificio, dell’etica del lavoro e della voglia di migliorarsi, il rovescio della medaglia ha mostrato un giocatore più timoroso e meno intraprendente nelle scelte. La storia non è fatta per ripetersi e la guardia classe 2000 sta dimostrando oggi, di aver rispolverato la faccia cattiva che, come in un disturbo di personalità multipla, aveva inconsapevolmente represso. “Mi sento allo stesso livello di Luka Doncic, Trae Young, Ja Morant, i giovani ragazzi che stanno emergendo nella lega e che possono essere All-Star, superstar un giorno”.
Le recenti dichiarazioni che lo hanno visto protagonista muovono dal presupposto che la contezza dei propri mezzi sia ai massimi livelli e che il ragazzo sia in uno stato di forma fisica e psicologica invidiabile. Sceso da una poltrona in cui ha assunto il ruolo da spettatore per un anno intero, Herro è tornato a sporcarsi le mani e le percentuali pur di dare un apporto decisivo alla propria squadra. La selezione dei tiri e la fiducia nella propria meccanica sono cresciute esponenzialmente, relegando una paura immotivata e probabilmente generata dalla giovane età a un ruolo più che marginale. In Florida si respira, a partire dai playoff della bolla, l’aria rarefatta delle grandi occasioni, che penetra nelle ossa, forgia il carattere, soggioga chi non possiede la personalità per respirarla a pieni polmoni. La cura di Tyler si snoda tra l’esperienza accumulata nella realtà paranormale delle prime Finals e il contraccolpo psicologico subito al termine della scorsa stagione. Ha imparato a confrontarsi con il pungente tanfo della sconfitta e a gustare il sapore della vittoria, riscoprendo sé stesso e concedendosi una seconda possibilità che sta sfruttando a dovere. A testimoniarlo l’attuale ventiduesimo posto tra i migliori realizzatori della stagione e una collocazione centrale nel progetto della franchigia allenata da coach Spoelstra. Le etichette che lui stesso si era incollato addosso scivolano adesso in un crossover, in un arresto rovesciato che disorienta il difensore; nell’osservazione del pallone che, dopo un bacio alla retina, si deposita in fondo al cesto. Critiche opportunistiche, requisitorie contro la sua immagine e l’oceano di giudizi negativi sul suo conto svaniscono in una rubata, in una giocata che infiamma il pubblico e nella faccia cattiva di quel ragazzino che in una partita di playoff contro i Celtics “vedeva l’oceano al posto del ferro” (come dichiarato da Brad Stevens). Al tempo trentasette punti e secondo giocatore più giovane di sempre a marchiare a fuoco, con questo tabellino, una partita di quel calibro nella parte calda della stagione.
Lo step-up mentale di Herro comprende la capacità di aggredire i momenti della partita, non abbattersi dopo un lay-up sbagliato o una tripla wide-open che rimbalza sul ferro, ma trarre dagli errori l’energia per spettacolarizzare il suo gioco e incrementarne l’efficienza. La crescita di Miami accompagna la sua rinascita graduale e meticolosa, con l’obiettivo non solo di eguagliare le prestazioni dell’anno da rookie (come sta già accadendo), ma soverchiarle, renderle obsolete e insignificanti se comparate con l’attuale rendimento. Come nel processo di lavorazione di un diamante grezzo le lancette dell’orologio sgretolano il tempo e rendono palpabile l’attesa, così il germogliare di Herro influenza in maniera positiva e considerevole l’ambiente della franchigia della Florida. L’ultima tappa è rappresentata dalla costanza di rendimento, forgiata sull’abbandonare il carro dei “buoni giocatori” e compiere il giro di boa decisivo per irrompere nel mondo delle star, dove l’atmosfera si scontra con l’aura di talento che gravita intorno ai superuomini della lega più blasonata del mondo. Tyler ha le carte in regola per poter aspirare a tutto questo.
Il segreto è rinchiudere le insicurezze nella propria ombra, confinarle in una stanza abbandonata e gettare via la chiave. E allora, ben nutrito dai valori che lo abbracciano e che lui abbraccia, potrà aspirare alla grandezza. Quella solo per pochi, che segna in modo permanente e restituisce all’immagine una vita perpetua nel tempo. L’ “hic et nunc” è una bella favola. La scalata all’Olimpo, però, lo è ancora di più.